Bruna condoleo

Le ali della materia

4 – 14 maggio 2017

MICRO Arti Visive
Spazio Porta Mazzini

La mostra nasce dalla collaborazione tra Bruna Condoleo storica dell’arte, e Paola Valori, gallerista e curatrice. Trenta in totale le opere esposte, molte realizzate con materiali tipici della scultura come il bronzo, altri più innovativi come la radice di ulivo. 

Punto d’incontro tra visibile e invisibile, le opere di Matilde Mancini suggeriscono una metamorfosi psichica, l’idea di un’evoluzione costante delle forme e la possibilità di accedere a nuove esperienze cognitive ed emotive.

Nei suoi lavori esiste un emozionante desiderio di ricomposizione identitaria e di fusione con una parte della natura che non vuole rassegnarsi alla morte e la combatte nel segno di una trasformazione continua.
Una mostra, quella dei suoi 30 lavori, che assume in sé il paradosso e la metafora come fili conduttori, non soltanto per la scelta dei soggetti, figure spesso indistinte e misteriose,ma anche per l’impiego e per la lavorazione dei materiali: il legno e il bronzo.

Benché la figura umana sia tema fondante del suo percorso artistico, la modellazione tormentata della materia conduce in parte al disfacimento della verosimiglianza fisica nei valori di luce e di spazio.
È allora che la forma diviene energia: ciò che è apparentemente solido e durevole, come il bronzo, quasi si scioglie in variazioni strutturali, mentre ciò che sembra più fragile, come il legno, ribadisce il sogno di una possibile eternità.
Le creature da lei modellate trasmigrano liberamente nel mito come nel futuro, evocando larvatamente forme umane, animali o più spesso entità dalla natura sfuggente e simbolica, come accade nella coinvolgente serie di “Frammenti di volo”.

La sostanza della scultura di Matilde è di natura lirica: i suoi lavori possono definirsi, parafrasando Man Ray, oggetti d’affezione nel senso che traducono plasticamente i moti segreti della sua anima e nel contempo raccontano i sentimenti eterni: l’amore, il dolore, l’anelito all’infinito.
Secondo il parere di due protagonisti del ‘900, Arturo Martini e Lucio Fontana,la scultura è il grande enigma, nodo inesplicabile del rapporto tra materia e spirito ed è per questo che la ricerca plastica possiede affinità con il linguaggio immateriale della poesia.

Le opere di Matilde Mancini sono permeate di una sensibilità lievitante che chiede alla luce un sussidio d’animazione e una collaborazione a rendere trepidante l’immagine.
La luce è per l’artista romana espressione di un’anima cosmica, la manifestazione sensibile dello spirito universale che penetra la sostanza delle cose come degli esseri viventi. Da tale consapevolezza nasce l’impulso poetico delle sue sculture, alcune delle quali fanno pensare a una lava che tardi a raffreddarsi e che nasconda all’interno ancora un flutto di materia incandescente.
Espressione di una piena maturità, la recente produzione continua a possedere un giovanile fervore, in cui all’istanza lirica si assomma una vibrante immediatezza espressiva, come se l’artista fosse timorosa che la durata esecutiva dell’opera possa raggelare la verità della spinta emozionale.
Aggredire direttamente il materiale prescelto senza avvalersi di modelli né di disegni preparatori è un’abitudine singolare che le garantisce di instaurare con la materia grezza un rapporto più intimo, oltre a farle acquisire una conoscenza profonda delle proprietà estetiche e luministiche del materiale, da cui la scultrice si lascia stimolare seguendo i suggerimenti formali fino a intravedere le immagini già presenti nel suo mondo visionario. Con passione Matilde modella la cera per la fusione bronzea e scolpisce il legno per via di levare: da tale alleggerimento materico emergono figure, volti e gesti resi con piani brulicanti di effetti chiaroscurali che accentuano il pathos della forma. La sua cifra stilistica si caratterizza per la predilezione di uno spazio dinamico che s’insinua negli incavi profondi e nelle cavità vuote di materia, simili a lacerazioni fisiche, mentre la luce vibra scivolando sulla frenetica modellazione delle superfici, come accade in “Resa”, in “Non alla terra né al cielo” o in “Emersione”.

Personalità solida e inquieta, nutrita di interessi letterari e musicali, l’artista transita attraverso la scultura in un immaginifico universo iconografico, ricco di sconfinamenti sensuali, simbolici, a volte magici. Dopo aver declinato in modo originale il tema del “volo”, grazie alle suggestioni della musica e della danza Matilde è pervenuta all’ideazione di forme fluide che si flettono, si innalzano e si ricompongono al pari di un contrappunto musicale, come rivelano anche i titoli di alcune opere: tempo di sonata, variazioni, minuetto. In una sorta di danza visionaria che mantiene con la realtà una sottile, enigmatica relazione visiva, le linee delle sculture si modulano nello spazio, i volumi si sublimano in una stilizzazione raffinata e le forme, quasi a volersi liberare dalla forza gravitazionale, s’impennano in un’elevazione finale mettendo “le ali” alla materia e inoltrandosi in un cammino d’astrazione intriso di lirica tensione emotiva.