Di fronte alle sculture di Matilde Mancini, modellate nel legno d’olivo, tra un turbinio di stimoli visivi ed emotivi la mente s’inganna nel percepire l’attimo dell’evento: le forme si avvitano nello spazio, il vuoto acquista solidità, il tempo dell’immagine si prolunga a dismisura nel rapido fluire della luce.
L’Artista fonde il carisma degli antichi con la sensibilità dei moderni: dalle sue opere traspare un desiderio d’immersione panica nel creato, nato dalla consapevolezza che in ogni organismo vivente esista un fermento spirituale capace di dilatarsi, elevarsi e tendere a una definizione, sino a fare di ogni figura scolpita un simulacro quasi ieratico.
Il vitalismo delle sue creazioni plastiche, la presa di possesso dello spazio, la molteplicità dei punti di vista, l’estetica del frammento sono elementi rivelatori di un’arte che ripropone una sfida ancestrale le cui radici affondano nel mito stesso della scultura, considerata “soffio vitale”.
Senza rinnegare la figurazione, Matilde Mancini rivela suggestioni simboliste, gusto liberty, tendenza all’astrazione, ma è soprattutto un fascino barocco ad emergere dalle sue opere, dove non è l’umano a trasmutare nel regno vegetale, ma, con un ribaltamento concettuale, è la natura che anela ad umanizzarsi, lambita dal soffio rigeneratore che trasforma in spirito la materia.
Il legno possiede per la scultrice un mondo segreto, un interno palpito che contiene in potenza le indicazioni di ogni forma esistente; coniugando le implicite e spesso ermetiche doti espressive della materia con una raffinata tecnica plastica,
Matilde traduce nelle sculture la sua tensione verso una sfera metafisica, dove non esistano differenziazioni contenutistiche né barriere formali.
Nell’area dinamicità dei legni e dei bronzi si concretizzano indefiniti profili femminili, figure metamorfiche, sublimazioni di voli che agognano il cielo; evocando un linguaggio che nel trattamento pittorico delle superfici è riconducibile a maestri come Auguste Rodin e Medardo Rosso, la luce, espressione di un’anima cosmica, penetra la sostanza del legno, s’insinua negli incavi profondi, si distende sui piani più levigati.
E nascono creature polimorfe modellate assecondando le curvature naturali del materiale, esaltate dalle venature, intrecciantesi attorno ai suoi nodi, generate da una visione panteistica del mondo in cui ogni essere si completa nell’altro.
“Tegno nelle mani occhi e orecchie” asseriva Michelangelo, cercando di definire la capacità comunicativa della modellazione; anche Matilde, privilegiando un’estetica degli strati profondi della psiche, ambisce a rendere tangibili le proprie ineffabili emozioni. Dinanzi alle sue sculture ci sentiremo sferzati dal vento che le agita, scaldati dai toni del legno, inebriati dal dinamismo delle forme guizzanti, palpitanti di segreti. La scelta dell’albero di olivo, pianta plurimillenaria, non è casuale: simbolo di forza, di rinascita e di pace fin dalle antichissime civiltà, l’olivo racchiude in sé la memoria della Terra e delle generazioni e simboleggia la trascendenza del sacro. Gli intrecci delle forme arboree che l’Artista modella con avvolgente musicalità suggeriscono la mutazione perenne delle cose, ma anche l’ansia esistenziale e il desiderio umano d’elevazione. Tra i meandri della quotidianità le sculture di Matilde Mancini si ritagliano uno spazio in luoghi che appartengono principalmente a una dimensione poetica e spirituale dell’arte, come della vita.
Donne che lottano per affermare i propri diritti e vincere i tormenti delle violenze subite o delle discriminazioni vissute, è la tematica affrontata dall’artista e in “Figura a pugnale” del 2000, nella metamorfosi di donna pugnale, si avverte tutta la sofferenza di un corpo in combattimento.
Anche la “Maschera” del 2001 interpreta in pieno la doppiezza dell’Io, spesso sottoposto a sottomissioni e false speranze. In quest’opera colpisce il dinamismo ed il movimento, mentre lo spazio si determina in angolazioni taglienti e si carica di emozioni, mentre il volume gioca tutte le sue risorse nella forza di una sintetica composizione; sono le mosse che si affermano nel tumultuoso contrasto dell’aperto e del chiuso, del fluido e dell’angoloso a creare il suo mondo di forme moderne e classiche con un sempre presente senso d’infinito.
Si, perché infinita è la speranza nel cambiamento dello stato di sofferenza della donna, tormentata da tante umiliazioni e violenze